Quando il 22 dicembre scorso l’amministratore delegato del Monte dei Paschi di Siena, Marco Morelli, ha comunicato che era fallito l’aumento di capitale proposto al mercato dalla sua banca, in pochissime ore il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni ha convocato il consiglio dei ministri e ha fatto approvare il decreto da 20 miliardi di euro con cui è stata salvata la banca senese. Un fulmine. E non è stato il primo quando qualche istituto di credito ha lanciato il suo allarme.
Da una settimana decine di sindaci delle zone del terremoto avevano lanciato un allarme alle autorità prima guardando le previsioni del tempo, poi sentendo il freddo che mordeva e vedendo la neve che cadeva. Si è sgolato più volte anche Sergio Pirozzi, sindaco di Amatrice, che in condizioni drammatiche dal 24 agosto è lì a battersi come un leone per i suoi cittadini martoriati. Non è accaduto nulla. Tutti sordi, e quel che è accaduto lo vediamo in queste tragiche ore.
Per salvare Mps Gentiloni ha fatto una corsa da Usain Bolt. Per salvare dalla neve chi aveva già subito il dramma di questi mesi, nessuno si è mosso dalla sedia fino a quando la situazione non è precipitata. L’unica consolazione viene da un aspetto grottesco: salvando quei conti correnti, si è salvato anche qualcosina per i terremotati. Perché fra i tanti istituti possibili per raccogliere le generose donazioni degli italiani, la Protezione civile ha scelto proprio Mps.
Su un conto corrente c’erano più di 8 milioni di bonifici. Se la banca senese fosse andata in bail in, si sarebbero persi tutti, così come sarebbero stati persi i fondi raccolti sempre presso Mps da Confindustria o dalla Regione Toscana e Anci Toscana. C’è stato il rischio grosso quindi di perdere i fondi delle donazioni degli italiani ai poveri terremotati. Per altro quei fondi devono ancora essere utilizzati, e sono congelati.
Di fronte a una obiettiva assenza dello Stato in un momento in cui c’erano bisogni drammatici, Gentiloni si è offeso per le polemiche politiche sulla evidente disorganizzazione e impreparazione dei soccorsi, chiedendo sobrietà ai partiti e soprattutto agli avversari politici. Eppure i fatti plasticamente sono quelli, ed è ipocrita nascondersi dietro la generosità e l’incredibile impegno dei volontari che troppo spesso in questi mesi ha nascosto l’inefficienza e la lentezza della macchina pubblica.
Se c’è qualcuno che ha peccato di sobrietà, è stato proprio l’esecutivo. Ha promesso quello che sapeva benissimo di non potere mantenere. Ha annunciato la consegna di soluzioni abitative, dicendo che ormai Amatrice aveva le sue casette quando laggiù c’erano quattro assi ancora da montare e solo per il 10% di quel che sarebbe servito. Ha annunciato la consegna dei container per mettere al riparo gli allevamenti in tempo prima che li distruggesse il rigore dell’inverno, e nei tre mesi successivi ne ha consegnati 2 sui 300 promessi. Chi doveva decidere in fretta, sapendo quel che sarebbe accaduto, non l’ha fatto. Il capo della protezione civile, Fabrizio Curcio, e il commissario per la ricostruzione, Vasco Errani, hanno fatto molti incontri, emanato decine di ordinanze e altrettante circolari, spesso contraddicendo dopo pochi giorni le regole appena scelte e impedendo a chi era anche da volontario sul territorio di fare il proprio lavoro avendo qualche certezza con cui muoversi ed operare.
Non sono opinioni politiche, queste. Il 17 gennaio i presidenti di tutti gli ordini professionali delle Marche e di tutte le province hanno firmato un comunicato stampa-appello ad Errani che ha toni drammatici e forse più di ogni altra cosa testimonia la confusione che è regnata sovrana. Il comunicato-appello iniziava così: “I tre Ordini e Collegi Professionali Tecnici delle Marche impegnati dopo il Sisma del 2016 da oltre quattro mesi nelle attività di supporto e di sostegno alle popolazioni colpite dai tragici eventi, chiedono un incontro urgente con il Commissario Governativo Vasco Errani. Il fine è quello di analizzare congiuntamente le criticità rilevate in queste prime attività di ricostruzione che coincidono, sostanzialmente, con le operazioni di rilievo delle agibilità e della valutazione del danno”.
Poi spiegava il motivo di quell’incontro: “I sottoscritti Presidenti portano a conoscenza il Commissario e le popolazioni interessate che le mutate condizioni intervenute con le recenti Ordinanze, hanno generato notevole confusione sulla tempistica, sui modi e sui contenuti della ricostruzione stessa, il tutto in una situazione già grave dove sussiste ancora la necessità di procedere ai rilievi di agibilità. Questa situazione non è più sostenibile! Non si può, infatti, contemporaneamente ricostruire e, nel frattempo, rilevare il danno (…) In tempo di emergenza, questa continua emanazione di norme ha generato nella popolazione e nei tecnici stessi confusione ed incertezza, tant’è che al momento, i professionisti non stanno presentando alcun progetto, neanche per la ricostruzione leggera”. I 6 mila tecnici marchigiani che hanno fin qui fatto i rilievo si rifiutano di proseguire il loro lavoro in queste condizioni. E la responsabilità di chi è?
Organizzazioni di volontariato presenti nella zona del sisma, hanno comunicato fin dalla fine del mese di ottobre alle autorità di avere a disposizione container utilizzabili sia per persone che per animali e di volerle mettere a disposizione dei terremotati. E’ stato risposto a loro “no, grazie”. Ci avrebbe pensato il governo, che voleva usare la via maestra della gara pubblica per le forniture, con tutti gli imprimatur degli organismi di vigilanza (Anac in testa) per non rischiare. Il risultato è che quel che poteva dare riparo prima dell’arrivo dell’inverno, non è stato dato. Il governo non ha consegnato i container-stalle, e gli allevatori stanno perdendo le loro bestie ogni giorno.
Mentre i sindaci di queste martoriate zone hanno bisogno di lavorare su una emergenza continua e non di perdere il tempo in mille riunioni, correndo dietro alla burocrazia, da quegli incontri spesso inutili emerge una sola cosa: il terrore che hanno sia Curcio che Errani e i loro uomini di ricevere un avviso di garanzia per avere deciso in fretta una cosa piuttosto che un’altra. Sono preoccupati per se stessi assai più che per la gente che vive dramma ed emergenza. Vogliono mille bollini di legalità preventiva su ogni cosa che fanno, assediano Raffaele Cantone per avere ok che spesso non è nemmeno in grado di dare. Rivolgendosi ad ogni tipo di autorità in cerca di assoluzioni preventive che nessuno può dare, ricevono suggerimenti spesso contrastanti con le poche decisioni prese. E accade quello che ha scatenato la rabbia dei professionisti
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