Il pentolone catalano sta esplodendo: capito ora a cosa servivano “terrorismo” e paura permanente?

Era soltanto questione di tempo. Ed è arrivato. Il frutto marcio di mesi e mesi di montanti politiche repressive legate all’allarme terrorismo e alla strategia della paura oggi ha mostrato il sio volto collaterale a Barcellona: e, come era ovvio, senza che la cosiddetta comunità internazionale avesse alcunché da ridire. Frasi blande, auspici che nulla trascenda, intercalari diplomatici al limite del farsesco. E di fronte a cosa? All’irruzione della Guardia Civil, armata fino a denti, negli uffici ministeriali della Generalitat di Catalogna per sequestrare 10 milioni di schede del referendum sull’indipendenza previsto per il 1 ottobre e arrestare 14 membri dell’esecutivo di vario livelli, tra cui il segretario generale dell’Economia.
Arrestati per un reato d’opinione. Come durante il franchismo. Paradossalmente, lo stesso franchismo che il governo di Madrid sta ridicolmente occultando agli occhi dei cittadini con la sua campagna iconoclasta relativamente a statue e monumenti del periodo della dittatura. Ogni Paese ha la sua Boldrini. L’UE? Muta. La Mogherini? Muta. Certo, dalla sua il governo ha la sentenza della Corte costituzionale che vieta quel referendum ma stiamo parlando della Guardia Civil che fa irruzione in palazzi ministeriali per arrestare rappresentanti del popolo, la cui unica colpa è quella di voler tenere un referendum consultivo: non si poteva arrivare a una mediazione? No, serviva questo. Il governo retto dal partito più corrotto della storia spagnola moderna dai tempi del PSOE di Felipe Gonzàlez si si permette di compiere l’atto più franchista che si possa, senza che nessuno dica nulla.
Già, in un mondo in cui chiunque si svegli la mattina e si senta discriminato o bullizzato può tranquillamente dar vita alla recita del piagnisteo dei diritti civili, si può invece contestare e ignorare la volontà della maggioranza di un popolo, mandando la Guardia Civil a sequestrare schede, documenti e arrestare eletti e funzionari. Di fatto, vietando manu militari che il popolo si esprima liberamente. E poi io esageravo coi miei articoli di messa in guardia su quanto si stava ponendo in essere?

Già. Tocca dirlo chiaro: la false flag della rambla è stata la prova generale di tenuta, lo stress test, il G8 di Spagna. Quanto questo abbia funzionato e quanto quel calcolo sia stato più o meno giusto, lo vedremo nei prossimi giorni: questa
è stata la risposta di popolo oggi pomeriggio davanti al ministero dell’Economia a Barcellona. Confortante. Ma resisteranno? Degenererà la protesta? Si arriverà a ciò che mi auguro non accada mai, ovvero scontri in piena regola? Perché in quel caso, difficilmente la polizia autonoma catalana reprimerà con troppa durezza cittadini che manifestano in solidarietà al governo per cui lavorano: sarà la Guardia Civil, ancora una volta, a intervenire? In tal caso, le misure antiterrorismo e l’addestramento che ne è seguito – oltre ai poteri che si possono millantare in suo nome – potrebbero rivelarsi molto utili. Utilissimi. Peccato che saremmo alla guerra civile. O allo stato di emergenza. O forse qualcuno la vuole per far detonare quella pentola a pressione ormai al limite chiamata eurozona, prima che il bluff della QE della BCE si sveli e salti tutto disordinatamente per lorsignori?

Guardate queste fotografie,
sono relative al 21 settembre del 2015, una settimana prima del voto regionale che ha visto i separatisti garantirsi il controllo del Parlamento di Barcellona, atto fondativo e prodromico dell’attuale referendum: sapete di cosa si tratta? Sono furgoni della Banca di Spagna che requisiscono e spostano a Madrid l’oro fisico detenuto nei caveau della capitale catalana. Come vedete, l’operazione non è di ieri: è stata preparata da tempo, doveva solo svolgersi in un certo modo e con certe modalità. L’isteria securitaria del terrorismo ha soltanto facilitato il compito. Attenzione, perché quanto sta accadendo e accadrà nei prossimi giorni in Catalogna segna il passaggio del Rubicone per tutti, quantomeno in Europa. E lasciate da parte per un attimo la palese violazione dei diritti civili e politici dei catalani, così come l’istanza identitaria in sé, qui stiamo parlando di repressione in grande stile del dissenso, il passo successivo e pratico della criminalizzazione che denuncio da mesi. Si parte dai ban sui social network, sia passa attraverso le leggi contro il linguaggio dell’odio e si arriva alla Guardia Civil: c’è poco da fare o da dire, il meccanismo è in atto.

Perché lo dico con tanta certezza? Per questo,
perché quando la paura viene segnalata come pericolo imminente, il cui contrasto appare necessario in nome della stabilità, da parte di uno dei sancta sanctorum del potere politico-finanziario, vuol dire che la guerra è aperta. Oggi Deutsche Bank ha pubblicato un report che conteneva questo grafico, il quale ci mostra l’indice del populismo nelle nazioni più importanti, bilanciato in base alla popolazione. Bene, come per un dato macro o finanziario che va male si usa la formula “dai tempi di Lehman Brothers”, qui si usa “dai tempi di Hitler”. Ebbene sì, il populismo nel mondo – stando a DB – è arrivato al punto di non ritorno: e tutti si ricordano quali furono all’epoca la via d’uscita e l’epilogo di quel bubbone di rabbia e odio.
Hitler, lo stesso Hitler che viene mosso a paragone quando un discorso non è abbastanza politicamente corretto, quando si contesta l’immigrazione selvaggia, quando si nega il diritto LGBT di turno, quando si travalica il confine inciso nella sabbia del linguaggio d’odio, semplicemente perché si dice ciò che si pensa, avvalendosi del sacrosanto diritto di espressione. Sta tutto dipanandosi in base a una strategia precisa, la quale a mio avviso ha due sbocchi: repressione per creare il precedente e dare l’esempio (ovviamente con relativa campagna di discredito, quindi se in Catalogna salteranno fuori piani eversivi, mazzette o casi d molestie su minori da parte di politici indipendentisti, non stupitevi) oppure volontà provocatoria affinché la questione politica divenga prima sociale e poi istituzionale, investendo di ruolo e responsabilità l’UE.


Già, l’UE già scottata dal Brexit, in tema di referendum, materia che sta rivelandosi più rischiosa e ostica del previsto e che potrebbe davvero tramutarsi nel proverbiale chiodo nella bara dell’esperienza europea. E magari il precedente catalano, unito alla debolezza politica di Theresa May (non a caso, l’iper-atlantista Boris Johnson, doppiogiochista della prima ora, ha minacciato le dimissioni dall’esecutivo proprio sulla materia), potrebbe introdurre elementi di ripensamento al riguardo, anche alla luce dei rischi isolazionisti in un contesto di terrorismo quanto mai vivo (il famoso bidone che brucia per cui sono state arrestate cinque persone, manco per Piazza Fontana).
Venerdì la May sarà a Firenze proprio per sancire l’addio ideale del Regno Unito all’UE: vediamo dopo quell’atto quanto saranno lunghi i suoi giorni al potere. Siamo entrati nella fase operativa del progetto “The Village”, un’Europa del controllo sociale assoluto, con tanto di simboli, come la protezione in vetro anti-proiettile che Emmanuel Macron sta facendo costruire in questi giorni attorno alla Torre Eiffel. Attenti, perché tra non molto toccherà a noi. Il caos politico-istituzionale in atto non è certamente casuale.

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