Lo studio pubblicato da quattro ricercatori pisani che hanno elaborato e valutato dati esistenti sulle colture ogm ha concluso che le rese del masi ogm sono maggiori
del mais convenzionale e che non ci sarebbero danni documentati su salute e ambiente. Dopo la replica precisa e puntuale del professor Salvatore Ceccarelli , ecco il commento del dottor Pietro Perrino, già direttore dell'Istituto del Germoplasma del CNR di Bari e oggi ricercatore al Centro Nazionale delle Ricerche.
«Le preoccupazioni sul mais transgenico rimangono, perché contiene DNA transgenico che è diverso dal DNA naturale (1). Che sia diverso è spiegato anche dal fatto che gli organismi geneticamente modificati (OGM) sono instabili - spiega Perrino - Il DNA transgenico contiene punti caldi alla ricombinazione e ciò alimenta il trasferimento genico orizzontalmente (TGO) anche tra specie lontane. Il TGO naturale è causale e preciso, mentre quello provocato dal DNA transgenico è casuale, impreciso e inaffidabile. Di conseguenza, il DNA transgenico e la ricombinazione producono nuovi virus, nuovi batteri e nuove malattie. Per gli stessi motivi la coesistenza tra colture convenzionali e transgeniche è impossibile e il cibo transgenico è causa di mutazioni, neoplasie, tumori e cancri. È come giocare alla lotteria: più cibo transgenico mangiamo e più possibilità abbiamo di ammalarci, più individui mangiano transgenico e maggiori sono le possibilità di un’epidemia. Più piante transgeniche ci sono in campo e maggiori sono le probabilità che il DNA transgenico e la ricombinazione causino contaminazione e nuove malattie. I risultati delle ricerche suggeriscono di non coltivare e non usare le piante transgeniche sia per scopi alimentari che non alimentari (1, 4)».
I ricercatori pisani affermano che la loro meta-analisi mirava ad aumentare le conoscenze sui caratteri agronomici, ambientali e tossicologici del mais GE analizzando la letteratura sottoposta a revisione peer-reviewed (dal 1996 al 2016) su resa, qualità della granella, organismi non bersaglio (NTO), organismi bersaglio (TO) e decomposizione della biomassa del suolo.
«I risultati della meta-analisi degli autori di Pisa - dice Perrino - si riferiscono a 21 anni di prove tra mais transgenico e non transgenico, ma i risultati di un’altra meta-analisi (2) che comprende mais, cotone e colza coltivate in due grandi aree geografiche USA e Canada da una parte e Western Europe dall’altra, nella prima comprendente le suddette colture transgeniche e non e nella seconda solo non transgeniche, considerando le rese per ettaro che vanno dal 1961 al 2011 (quindi per più di 21 anni e su aree ben più vaste e quindi più affidabili), mostrano chiaramente che le colture transgeniche producono meno o non di più di quelle non transgeniche, senza considerare i danni che le prime arrecano all’agroecosistema (2). Altri risultati solo per il cotone transgenico a confronto con il non transgenico (3) confermano il fatto che il non transgenico produce di più del transgenico (3)».
Gli autori pisani affermano ancora che gli NTO analizzati non sono stati interessati dal mais GE, ad eccezione di Braconidae, rappresentato da un parassitoide della piralide del mais europeo, l'obiettivo dei Lepidotteri attivi di mais Bt. I parametri del ciclo biogeochimico come il contenuto di lignina negli steli e nelle foglie non variavano, mentre la decomposizione della biomassa era maggiore nel mais GE.
«Le pubblicazioni prese in considerazione dalla meta-analisi degli autori di Pisa riguardano lavori poco credibili - prosegue Perrino - in quanto condotti da chi ha interesse a nascondere (forse inconsciamente) i risultati sugli NTO, che tra l’altro sono obiettivamente difficili da valutare. Per loro stessa ammissione un NTO, il parassita della piralide (un predatore naturale), viene colpito. Le conseguenze del fatto che viene colpito un predatore naturale non sono da sottovalutare, perché si va ad interferire con diverse altre componenti dell’ecosistema, determinando cambiamenti che possono comportare lo sviluppo di nuovi parassiti e compromettere la resilienza dell’intero ecosistema, incluso l’uomo».
E ancora, i ricercatori pisani che hanno promosso il mais ogm, concludono a favore della sua coltivazione principalmente per la maggiore qualità del grano e la riduzione dell'esposizione umana alle micotossine.
«Ma la qualità della granella non si può valutare solo in base a parametri di convenienza, come la presenza di micotossine (fumonisina, ecc.) e magari trascurare la presenza del DNA transgenico, che come sappiamo contiene, fra l’altro, i geni (indicatori) per la resistenza agli antibiotici - prosegue Perrino - Gli autori di Pisa considerano solo le micotossine e ignorano l’effetto cancerogeno del DNA transgenico. Ma anche a voler considerare seriamente il problema delle micotossine, esistono tante strategie diverse e più efficaci di quella proposta dall’ingegneria genetica. Strategie più accessibili, meno costose e che non sconvolgono l’ecosistema (4)».
«Ci sarebbe molto da dire contro la tecnologia del DNA ricombinante, tanto che non dovremmo consentirne la coltivazione ne in Italia ne altrove (5) - conclude il dotto Perrino - Gli effetti collaterali del DNA transgenico non conoscono confini geografici (1, 5). Proporre gli OGM per risolvere i problemi di fame nel mondo sottosviluppato, cioè senza risorse finanziarie per produrre cibo, equivale a proporre i vaccini per risolvere problemi di salute a popolazioni che muoiono di fame, cioè senza cibo ed energie per produrre anticorpi. La ministra Beatrice Lorenzin ha mostrato di essere incompetente in materia di piante transgeniche votando, il 27 gennaio scorso insieme al ministro Martina, a favore degli OGM (6). La salute dei singoli organismi viventi dipende dalla salute dell’ecosistema in cui essi vivono e la salute dell’ecosistema dipende da quella degli altri ecosistemi e/o biomi. Sappiamo da sempre che chi da salute agli ecosistemi è la biodiversità, su piccola e grande scala. La cosiddetta Rivoluzione Verde, iniziata, negli anni '40 e '50 del Ventesimo secolo, avrebbe dovuto insegnarci la lezione che uniformità delle coltivazioni è sinonimo di vulnerabilità dei campi coltivati alle malattie e biodiversità delle coltivazioni è sinonimo di resistenza alle malattie, ma per molti di noi, in primis accademici e ricercatori, questa lezione sembra non sia sufficiente».
«Visto che gli OGM (piante transgeniche) sono organismi che derivano tutti da una sola cellula selezionata in laboratorio e quindi geneticamente identici è ovvio che proporre la coltivazione di OGM significa proporre modelli agricoli di massima omogeneità, che, come sottolineato prima, significa massima vulnerabilità delle coltivazioni alle malattie - prosegue Perrino - Infatti, la favola che il mais transgenico è più resistente alla piralide dura solo qualche anno, poi, dopo qualche anno, subentrano superparassiti e nel caso di mais resistente all’erbicida, sviluppo di super infestanti e sterilità del suolo, causata dall’erbicida che oltre a uccidere le erbe fa fuori anche la microflora del suolo. Quella microflora che aiuta le piante ad assorbire i microelementi per vivere e sviluppare i meccanismi di difesa contro eventuali parassiti. È con vero dispiacere che si assiste al perseverare delle multinazionali nel proporre gli OGM come la panacea dei problemi agricoli e alla distruzione di intelligenze che potrebbero essere utilizzate per studiare e sperimentare modelli agricoli a basso impatto ambientale. Penso a quei giovani ricercatori che per fare carriera devono occuparsi per forza di OGM, altrimenti non pubblicano e non hanno i requisiti per partecipare e vincere concorsi progettati apposta per incentivare ricerche che servono solo alle multinazionali e non alla collettività. Speriamo che questi giovani aprano gli occhi prima che sia troppo tardi per il loro futuro e per quello dell’agricoltura a livello mondiale».
http://www.terranuova.it/News/Alimentazione-naturale/Perrino-Il-DNA-ogm-produce-nuovi-virus-nuovi-batteri-e-nuove-malattie
Nessun commento:
Posta un commento