Breve storia medica della canapa – Per 4000 anni a fianco dell’uomo, finché qualcuno (le multinazionali) ha stabilito che fa male, ma proprio tanto male al suo business

Breve storia medica della canapa

L’uso medico della canapa è antichissimo. Fu certamente coltivata in Cina fin dal 4000 a.C., ed è consigliata in uno dei più antichi testi medici cinesi, il Pen Ts’ao (I secolo d.C.), per “disordini femminili, gotta, reumatismo, malaria, stipsi e debolezza mentale”. In India, la canapa viene utilizzata nella medicina tradizionale probabilmente dalla stessa epoca. In Europa, ancora nel I secolo d.C., Dioscoride presenta nella sua “Materia Medica” una delle più antiche raffigurazioni della pianta, e la raccomanda per mal d’orecchi, edemi, itterizia e altri disturbi. Un secolo dopo, Galeno la cita come rimedio contro le flatulenze, il mal d’orecchi e il dolore in genere, ma avverte che, usata in eccesso, “colpisce la testa, immettendovi vapori caldi e intossicanti”.

Per molto tempo, dopo queste prime citazioni, la canapa non viene citata nei testi medici europei se non come curiosità esotica. Per esempio, nel 1563, il medico portoghese Garcia da Orta, di servizio presso il vicerè a Goa, in India, ne parla nei suoi “Colloqui sui semplici e sulle droghe dell’India” per l’uso come stimolante dell’appetito, sonnifero, tranquillante, afrodisiaco e euforizzante. Dobbiamo aspettare l’inizio dell’Ottocento per vedere la nascita di un vero interesse scientifico per la canapa in Europa. Nel 1839, William B. O’Shaughnessy, medico inglese trapiantato in India, pubblica un importante articolo su una rivista medica e riferisce dettagliatamente sull’uso di canapa in diverse condizioni, quali reumatismo acuto e cronico, idrofobia, colera, tetano e convulsioni infantili, riportando i metodi di preparazione e i dosaggi consigliati. Anche alcuni medici fran/cesi iniziano a studiarne l’uso in Egitto e in Medio Oriente. Peresempio Aubert-Roche parla dell’uso di haschisch contro la peste e Moreau di Tours la considera un farmaco efficace in varie malattie mentali.
Da questo periodo si può dire che l’uso medico della canapa conobbe una certa diffusione anche in occidente. Estratti e tinture a base di canapa compaiono nelle farmacie in Europa e in America e vi rimarranno per oltre un secolo

Nel 1854 la canapa è inclusa per la prima volta nello “U.S. Dispensatory” con queste parole: “Si dice che agisca anche come deciso afrodisiaco, che stimoli l’appetito e che occasionalmente induca in uno stato di catalessi […], migliora il sonno, allevia gli spasmi, calma l’irrequietezza nervosa, allevia il dolore […]. Come analgesico differisce dall’oppio perché non diminuisce l’appetito, non riduce le secrezioni e non provoca stitichezza. I disturbi per i quali e stata specialmente raccomandata sono le nevralgie, la gotta, il tetano, l’idrofobia, il colera epidemico, le convulsioni, la corea, l’isteria, la depressione, la pazzia e le emorragie uterine”. Nel 1860 è stata raccomandata dall’Associazione medica dell’Ohio per una lunga serie di indicazioni: tetano, nevralgie, emorragie post-partum, dolore del parto, dismenorrea, convulsioni, dolori reumatici, asma, psicosi post-partum, tosse cronica, gonorrea, bronchite cronica, dolori gastrici, oltre che come sonnifero e come farmaco capace di stimolare l’appetito.

Secondo H.C.J. Wood (1886) la canapa viene utilizzata “soprattutto per il sollievo del dolore; […] oltre che per calmare stati di irrequietezza e malessere generale, per alleviare le sofferenze in malattie incurabili come la tisi all’ultimo stadio e infine come blando sonnifero”. Nel 1887 l’autorevole rivista Lancet raccomanda l’uso di canapa indiana “notte e giorno per un periodo continuato” come “il migior rimedio disponibile nel trattamento della cefalea persistente”. Nel 1890 in un altro articolo apparso su Lancet, J. R. Reynolds riassume 30 anni di esperienza con la canapa in medicina e la ritiene “Incomparabile per l’efficacia nell’insonnia senile, utile come analgesico nelle nevralgie, inclusa quella del trigemino, nella tabe, nell’emicrania e nella dismenorrea (ma non nella sciatica, nella lombaggine e in genere nell’artrite, come nella gotta e nei “dolori isterici”); molto efficace negli spasmi muscolari di natura sia epilettoide sia coreica (ma non nella vera epilessia) e invece di incerto valore nell’asma, nella depressione e nel delirio alcolico. Fra il 1840 e il 1900 furono pubblicati più di 100 articoli sugli usi medici della canapa. In Italia la Farmacopea Ufficiale includeva sia l’estratto che la tintura di Cannabis indica. P.E. Alessandri (in: “Droghe e piante medicinali”, 1915) scrive che la Canapa indiana “usasi nel tetano, nelle nevralgie, isterismo, emicrania, reumatismo, corea, asma, e in molte altre malattie non escluso il cholera, dando però quasi sempre resultati contraddittori”. Ancora nel 1949, Pietro Maschera, nel suo “Trattato di farmacologia e farmacognosia” ne parla come di “un medicamento cerebrale e precisamente un analgesico analogo all’oppio e alla morfina”, che può avere più o meno gli stessi usi di questi. Però, avverte, la farmacologia della canapa è “poco conosciuta”, e il suo uso per varie ragioni “piuttosto limitato”.

La storia della canapa come farmaco si chiuse bruscamente, almeno in America e in Europa, appena prima della seconda guerra mondiale. Negli anni ’30 infatti, la marijuana fu forsennatamente attaccata da Harry J. Anslinger, il primo responsabile della politica anti-droga degli Stati Uniti, e a seguito di ciò, nel 1937 raggiunse l’oppio e la coca fra le “droghe proibite”, e pochi anni dopo fu cancellata dalla farmacopea ufficiale americana. Dopo la proibizione negli Stati Uniti, la legislazione e la medicina ufficiale si allinearono rapidamente in tutto il mondo, e la canapa fu a poco a poco dimenticata da farmacologi e medici. Bisogna aspettare gli anni ’70 per rivedere i primi cenni di una rivalutazione. Il libro di Grinspoon “Marijuana reconsidered” (1971) è il primo testo “moderno” a riesaminare in modo critico e senza pregiudizi la letteratura scientifica antica e recente sulla canapa. Nel 1973 lo psichiatra californiano Tod H. Mikuriya pubblicò il primo libro specificatamente dedicato ai suoi usi medici, un’importante antologia di articoli pubblici tra il 1839 e il 1972. In seguito arrivarono altri libri dedicati al potenziale terapeutico della canapa e anche diversi rapporti governativi (USA, Canada, UK) parlano del suo potenziale terapeutico e dei possibili utilizzi in medicina. Nacquero in questo periodo – a partitre dalla famosa azione legale di Robert Randall, malato di glaucoma che ottenne la regolare fornitura di marijuana a carico del governo americano – i primi movimenti di pazienti per la legalizzazione della cannabis a livello terapeutico.

Negli anni ’90, infine, iniziano grandi scoperte scientifiche sui meccanismi di azione dei cannabinoidi, i “principi attivi” della canapa, con la scoperta del cosiddetto “sistema cannabinoide endogeno” nell’organismo dei mammiferi, incluso l’uomo. Da allora, numerosi lavori scientifici fornirono un valido supporto alle varie associazioni impegnate per la riconquista del diritto alla “canapa come medicina”, e certamente contribuirono a cambiare l’atteggiamento della collettività nei confronti dell’uso medico di questa sostanza. E’ ragionevole sperare che, all’inizio del nuovo millennio, ci siano tutte le premesse per un cambiamento radicale.

ACT (Associazione Cannabis Terapeutica)



tratto da: https://www.dolcevitaonline.it/breve-storia-medica-della-canapa/?fbclid=IwAR3mamfQWRH3FTx13TWw1BBnDGFVS0KQ4oXD2v8EO3jfhsFyA89AmmHFJgc

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