L’Ue è il secondo principale importatore di soia (e derivati) a livello globale. Ma per far fronte all’enorme domanda di soia, sempre più foreste vengono abbattute: ogni 3 secondi, un’area di foresta grande come un campo da calcio viene rasa al suolo anche a causa dell’agricoltura industriale. Cibo che divora le foreste: quelle del Gran Chaco e quelle del Cerrado Brasiliano, ad esempio, stanno diventando un’enorme piantagione di soia.
Jair Bolsonaro, il presidente del Brasile, sarà ricordato tra i peggiori devastatori del nostro pianeta. Grazie alla politica del suo governo di sfruttamento dell’Amazzonia, in poco più di sette mesi sono spariti 3700 Km2 di foresta. Di questi, ben 1250 sono spariti dal primo luglio, in meno di un mese. A questa conclusione è arrivato l’Inpe, l’Istituto nazionale di ricerche spaziali basata su misurazioni e immagini satellitari..
Foreste al macello. Il Gran Chaco deforestato per produrre la carne che mangiamo
Nel rapporto “Slaughtering the Chaco forests”, frutto di un’indagine durata oltre un anno, Greenpeace denuncia che «Alcune grandi aziende argentine dedite alla produzione e alla lavorazione di carne sono legate alla deforestazione del Gran Chaco – la più grande foresta tropicale secca del Sud America e la seconda più grande foresta tropicale dell’America Latina dopo l’Amazzonia – ed esportano carne in Europa e Israele».
Greenpeace spiega che «Il Gran Chaco copre un’area di oltre 1,1 milioni di chilometri quadrati e interessa tre nazioni: Argentina, Paraguay e Bolivia. È la casa di 4 milioni di persone, circa l’8 per cento sono appartenenti a Popoli Indigeni; il loro sostentamento, la cultura e le tradizioni dipendono dalla foresta».
Martina Borghi, responsabile della campagna foreste di Greenpeace Italia, sottolinea che «Nel Gran Chaco si registra uno dei più alti tassi di deforestazione nel mondo, principalmente a causa dell’espansione indiscriminata delle piantagioni di soia geneticamente modificata e degli allevamenti. Questo problema è particolarmente evidente in Argentina, un Paese che si è affermato come importante produttore, consumatore ed esportatore di carne bovina e che attualmente è il sesto Paese al mondo sia per numero di capi di bestiame che per produzione ed esportazione di carne».
Secondo i dati del ministero dell’ambiente argentino, nel Paese sudamericano, tra il 1990 e il 2014, sono stati distrutti 7.226.000 ettari di foreste, una superfice equivalente a Olanda e Belgio messi insieme, e l’80% di questa deforestazione si concentra in 4province del nord del Paese: Santiago del Estero, Salta, Chaco e Formosa. La Borghi ricorda che «Il giaguaro, un animale emblematico che un tempo popolava vaste aree del Centro e del Sud America, rischia di scomparire. Si stima che nella regione argentina del Gran Chaco ne rimangano meno di 20. Per salvarli, Greenpeace Argentina, rappresentata da un gruppo di avvocati, sta chiedendo alla Corte Suprema del Paese di riconoscere i diritti legali del giaguaro. Se entità inanimate come aziende e società possono vedere riconosciuti i propri diritti, anche le specie viventi presenti in natura dovrebbero avere questa possibilità.
Nel 2018 l’Argentina è stata il secondo esportatore di carne in Europa, dopo il Brasile e il trend delle esportazioni è stato costantemente in crescita: secondo l’Eu Meat Market Observatory della Commissione Ue, «Nei primi due mesi del 2019 l’Argentina è stata il principale fornitore in Europa di carne bovina fresca e macinata». La Borghi evidenzia che «Lo scorso anno l’Italia ha importato dall’Argentina 5.800 tonnellate di carne fresca, diretta principalmente in Emilia-Romagna, che ospita gran parte delle aziende di trasformazione e distribuzione di carne».
Purtroppo la situazione sembra destinata a peggiorare. Come spiega ancora il rapporto di Greenpeace: «Recentemente, l’Unione europea e il Mercosur – il gruppo composto da Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay, riuniti nel mercato comune dell’America meridionale – sono giunti a siglare un accordo di libero scambio dopo un negoziato avviato nel 1999. Attraverso questo accordo, i due blocchi sono determinati, fra l’altro, ad incrementare gli scambi aumentando l’importazione in Europa di materie prime agricole dal Sud America, con notevoli rischi per l’ambiente e i diritti umani. Tra i prodotti in questione ci sono infatti carne bovina, pollame e soia OGM (destinata alla mangimistica), prodotti che si collocano al primo posto fra le cause della distruzione delle foreste sudamericane».
La Borghi conclude: «Alle aziende che esportano e importano carne dall’Argentina chiediamo di rendere la propria filiera trasparente e libera dalla deforestazione e dalla violazione dei diritti umani. Anche l’Unione europea dovrà fare la sua parte, con una normativa in grado di garantire che i prodotti che acquistiamo in Europa non abbiamo avuto gravi impatti su ambiente e diritti umani in altre parti del Pianeta. Le foreste catturano circa un terzo dell’anidride carbonica rilasciata ogni anno a causa della combustione di gas, petrolio e carbone. Se vogliamo evitare l’aumento delle temperature oltre il grado e mezzo, dobbiamo esigere che ciò che resta delle foreste venga protetto».
In una conferenza tenuta la scorsa settimana, Bolsonaro ha spiegato di voler smantellare le riserve indigene, cercando di dissuadere la comunita’ internazionale a intervenire sull’Amazzonia. Davanti ai giornalisti, scrive il sito ‘Correio da Amazonia’, Bolsonaro si e’ descritto come un difensore dei popoli indigeni che non volevano piu’ vivere come “uomini preistorici senza accesso” alle “meraviglie della modernita’”.
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Vedere la speranza. C’è sempre la possibilità di sperare per l’umanità. C’è la speranza di non arrendersi mestamente alle brutture della vita e al malvagio che a volte c’è negli uomini. Come c’è la speranza di ripiantumare una foresta, negli anni desertificata, e vederla tornare alla vita. Questo è il cammino – professionale e umano – di un fotografo come Sebastião Salgado.
L‘Instituto Terra è il risultato di un’iniziativa ambiziosa incominciata alla fine del 1990 da Sebastião Salgado e sua moglie Lèlia: porre rimedio alla devastazione ambientale in ed intorno ad un ranch acquistato dalla famiglia di Sebastião Salgado, vicino alla città di Aimorés, nello stato brasiliano di Minas Gerais, per restituire la proprietà al suo stato naturale di foresta pluviale subtropicale. Hanno reclutato partner, raccolto fondi e, nell’aprile 1998, hanno fondato l’Instituto Terra, un’organizzazione ambientalista dedicata allo sviluppo sostenibile della Valle del Fiume Doce. Da allora, il sogno della coppia ha già dato molti frutti. Grazie al lavoro dell’Instituto Terra, la zona è ora stata dichiarata patrimonio naturale: circa 17.000 ettari di terreni disboscati e gravemente erosi, in un ampio tratto della valle del fiume Doce hanno subito una notevole metamorfosi.
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