Tra le iniziative per aiutare materialmente gli ospedali non se ne trova una finanziata dal Vaticano o dalla Cei. Un problema di comunicazione?
Chi in questi giorni di emergenza vuole dare una mano concreta a chi sta portando avanti in prima linea la battaglia contro il coronavirus, ha un’ampia scelta di possibilità. Personaggi noti del mondo dello spettacolo, piuttosto che sportivi, imprenditori, fondazioni, onlus ecc., hanno lanciato delle campagne di raccolta fondi per sostenere i reparti di terapia intensiva degli ospedali, ormai al collasso, oppure l’acquisto di apparecchiature da destinare alle strutture sanitarie che ospitano dei pazienti contagiati in condizioni serie.
Scorrendo il lungo elenco di iniziative create a questo scopo, colpisce non i nomi che si trovano ma quelli che mancano, uno in particolar modo: quello della Chiesa cattolica. Delle due una: o non hanno organizzato ufficialmente alcuna raccolta fondi, oppure hanno un pessimo sistema di comunicazione. Perché, se le campagne esistono, è più famosa quella di Ferragni-Fedez di quelle di una istituzione che ha fatto della carità una delle tre virtù teologali, oltre alla fede e alla speranza. Quella carità predicata da San Paolo nella sua celeberrima prima lettera ai Corinzi. Quella messa in pratica nel 1200 da San Francesco, spogliatosi di tutte le sue ricchezze per darlo ai poveri. La stessa che, in tempi molto più recenti, ha portato agli onori degli altari Madre Teresa di Calcutta, diventata santa.
Non è questa la sede per esprimere giudizi su quello che la Chiesa cattolica fa o non fa. Anche perché spesso i sacerdoti sparpagliati in tutto il mondo, in situazioni veramente critiche, mettono a repentaglio la loro vita affinché a chi vive nella miseria non manchino il pane, la pace e la giustizia. Storie di cui nessuno parla e che restano, quindi, nascoste agli occhi dell’opinione pubblica.
Più nota, invece, la decisione di papa Francesco di mettere, ad esempio, a disposizione dei senzatetto e dei poveri docce ed aiuti materiali che vengono distribuiti, anche in queste ore di emergenza, in Vaticano. «Lasciamo le docce e i bagni aperti– racconta l’elemosiniere del Papa, il cardinale Konrad Krajewski – perché per i poveri è una necessità e questa va rispettata. Significa ovviamente osservare le norme e le distanze di sicurezza. Il messaggio che vogliamo mandare ai senza tetto – conclude il prelato – è uno solo: non siete soli a fronteggiare l’emergenza, noi ci siamo, vi supportiamo nelle necessità».
Tuttavia, oltre all’egregio lavoro quotidiano di chi è impegnato a vario titolo nella Chiesa cattolica, i gesti concreti adottati dalla Santa Sede da quando è scoppiata la pandemia (ora bisogna chiamarla, ufficialmente, così) sono stati due. Il primo, quello che tutti si sarebbero aspettati, la preghiera. Dal Papa all’ultima parrocchia dell’ultimo paesino del mondo c’è gente che prega per chi sta soffrendo a causa del coronavirus e perché la situazione si risolva nel migliore dei modi e al più presto.
L’altro gesto risale ai primi di febbraio, quando in Europa la parola «coronavirus» era sinonimo di «epidemia cinese». Per alcuni giorni, la Santa Sede ha raccolto fino a circa 700mila mascherine attraverso la farmacia vaticana e le ha spedite in Cina, dove in quel momento si concentrava l’emergenza. La Chiesa ed alcuni gruppi cristiani cinesi hanno finanziato il materiale sanitario, mentre la principale compagnia area di Pechino, la China Southern Airlines, ha effettuato il trasporto gratuito.
Dopo di che, oltre alle parole di Francesco durante le udienze o alla fine dell’Angelus domenicale, non si è sentito più nulla da Oltretevere a proposito di iniziative concrete contro il coronavirus. Nessuna notizia in questo senso da parte della Chiesa cattolica italiana, come istituzione ufficiale. La Conferenza episcopale ha solo commentato il decreto emanato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri che vieta le cerimonie religiose di ogni tipo, comprese le Sante Messe, per evitare assembramenti. Hanno scritto i vertici dei vescovi in una nota: «La Chiesa che vive in Italia e, attraverso le Diocesi e le parrocchie si rende prossima a ogni uomo, condivide la comune preoccupazione, di fronte all’emergenza sanitaria che sta interessando il Paese. Rispetto a tale situazione, la Cei – all’interno di un rapporto di confronto e di collaborazione – in queste settimane ha fatto proprie, rilanciandole, le misure attraverso le quali il Governo è impegnato a contrastare la diffusione del coronavirus». E sul decreto: «Si tratta di un passaggio fortemente restrittivo, la cui accoglienza incontra sofferenze e difficoltà nei Pastori, nei sacerdoti e nei fedeli. L’accoglienza del decreto è mediata unicamente dalla volontà di fare, anche in questo frangente, la propria parte per contribuire alla tutela della salute pubblica».
Sarebbe opportuno che, se la Chiesa, in maniera ufficiale, ha lanciato qualche campagna di raccolta fondi per aiutare materialmente chi ci sta lasciando la pelle negli ospedali per aiutare il prossimo, lo facesse sapere in modo più efficace affinché chiunque se la senta, credente, praticante o laico che sia, possa partecipare. È vero che Gesù, predicando, disse: «Quando tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra quello che fa la destra, affinché la tua elemosina si faccia in segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, te ne darà la ricompensa palesemente». Forse è per quello che non è trapelato nulla.
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