Impegnati quali siamo, abbiamo bisogno di un giorno l'anno per ricordare chi non c'è più, ma quel che è più patetico è il fatto che nella nostra decadente cultura l'essere morti è fonte di ricordo e commemorazione, mentre l'essere vivi è fonte di tribolazione, di ansie, di stress, di corse senza fine, di lavoro snervante e avvilente.
Perché allora non festeggiare
le persone quando sono in vita?
Magari facendo in modo che non si usurino come bestie da traino per quarant'anni in fabbrica? Perché rivolgiamo tanta attenzione alle persone solo quando non ci sono più?
I vecchi non sarebbero forse più felici di morire tra le proprie mura che in una casa di riposo? Le persone non sarebbero tutte più felici di essere rispettate qui ed ora, magari facendo in modo che nessuno lavori mai più di 4 ore al giorno, invece che ricordarle con le solite frasi fatte dette dal prete al loro funerale?
"Era una brava persona", certo che lo era, e poteva esserlo ancora di più se fosse nata in una società che valorizza l'essere umano invece che trattarlo come uno stupido robot produttivo destinato a consumarsi di fatica per il "bene dell'economia".
E se iniziassimo a rispettarci di più da vivi?
A costruire insieme una società migliore fondata non sull'egocentrismo e le carriere individuali, ma sul benessere di tutti?
Un mondo dove ogni giorno si festeggia la vita?
Dove non serve andare al supermercato per incontrare le persone?
Dove finite le poche ore al giorno di "dovere", necessarie per vivere, tutti si riversano nei parchi, nelle piazze, nei fiumi, ancora cariche di vitalità e ansiose di incontrare il mondo, invece che rinchiudersi ognuno a casa loro ipnotizzati dalla TV come invece accade oggi?
Ecco perché trovo altamente ipocrita la festa dei morti del 2 novembre, perché in questa società malata ci si ricorda dei vivi solo quando sono morti.
Daniele Reale
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