Trafficanti e aziende saccheggiano i materiali della centrale nucleare e smontano i veicoli contaminati. Con la complicità di poliziotti e autorità ucraine.
Per la prima volta ricostruito il business del metallo radioattivo, che così finisce in tutto il mondo
Per la prima volta ricostruito il business del metallo radioattivo, che così finisce in tutto il mondo
(Di Bruno Masi - l'Espresso)
Getta un'occhiata veloce a destra e a sinistra, si piega e oltrepassa la recinzione di filo spinato. Malgrado cinquanta centimetri di neve fresca e il freddo tagliente di questo febbraio, Piotr Mouriavov si addentra a passo spedito nella zona proibita di Chernobyl. Si irrigidisce al minimo suono sospetto e controlla che nessuna sagoma umana si profili tra le ombre nebbiose. Riprende a camminare, con la paura costante che in un qualunque momento un miliziano possa tirar fuori un'arma e fare fuoco. Piotr li teme più dell'umidità che gli impregna i vestiti, più ancora dei lupi che hanno popolato l'area e che attaccano l'uomo, molto più della radioattività che in alcuni punti è elevatissima. "Quando ci avvistano, i miliziani non esitano ad aprire il fuoco" sussurra accovacciato a terra. "Qui sono loro a comandare. In questa zona si combatte la guerra del metallo".
Tra due o tre ore la notte avrà ricoperto i paesaggi lunari del nord dell'Ucraina, trasformando questo mare di abeti in un labirinto oscuro. La centrale e il suo reattore numero 4, che esplose il 26 aprile di 24 anni fa, si trovano a una decina di chilometri. Un po' più lontano ancora c'è Pripyat, la città fantasma, abitata un tempo dagli operai dell'impianto atomico, evacuata all'indomani della catastrofe. In un perimetro di trenta chilometri, nessuno può avventurarsi senza autorizzazione. È evidente che Piotr non è il solo a compiere questa odissea, da una a due volte a settimana. A mano a mano che ci si avvicina al cimitero dei mezzi militari si avvista ciò che resta di carichi abbandonati lungo il tragitto da altri mercanti di ferrivecchi. Quel cofano d'automobile, quei pezzi di motore o quella portiera arrugginita servono da punti di riferimento approssimativi per segnare il tragitto che porta alla pianura di Razokha, quella dove qualche settimana dopo l'esplosione furono ammucchiati in tutta fretta migliaia di veicoli fortemente radioattivi. Su una ventina di ettari, sotto uno spesso strato di ghiaccio, sono allineate carcasse di automobile, di blindati, escavatrici, e camion dei pompieri. Da lontano si avvista anche lo scheletro di un elicottero fatto a pezzi. "Anche se erano fortemente radioattivi, gli elicotteri sono stati tra i primi a essere smantellati. Con l'alluminio che contenevano ci si potevano fare davvero tanti soldi" spiega Piotr.
"Il metallo è l'unico modo per sopravvivere. Cento chili sulle spalle ci permettono di guadagnare 90 grivnas (9 euro) e di comperare un po' di alimenti nello spaccio del paese". Accovacciato sul pavimento nero e sudicio di casa sua, passa in rassegna con un gesto della mano un tavolo sbilenco di legno, due sedie sfasciate, un letto dalla coperta piena di buchi. Poi commenta: "Guardatevi attorno: che cosa abbiamo da perdere?".
Nel caos generale che fece seguito all'esplosione del reattore numero 4 nel 1986, le autorità nascosero quante più cose possibili, in tutta fretta, arrivando addirittura a seppellire interi paesi molto contaminati. Crearono qua e là dei cimiteri nei quali avrebbero dovuto restare sepolte per secoli centinaia di tonnellate di metallo radioattivo. A meno di venticinque anni dalla tragedia nucleare, invece, la maggior parte di quei cimiteri è stata saccheggiata. All'indomani dell'esplosione, secondo vari osservatori c'erano circa otto milioni di tonnellate di metallo disseminate su tutto il territorio della zona recintata. Oggi non ve ne sarebbero che duemila. Dalla caduta dell'Unione Sovietica e dall'indipendenza dell'Ucraina nel 1991, questo territorio è diventato zona franca, con sue proprie regole, sue proprie lotte di potere, sue proprie industrie per il riciclaggio e il commercio di ogni genere. Uno Stato nello Stato, insomma, traboccante di un oro nero tutto particolare, il metallo.
La radioattività qui è altissima: la polvere che si solleva è trasportata via dal vento che soffia dai vetri infranti delle finestre.
Il giro d'affari clandestino sta aumentando esponenzialmente. Nel 2007 all'uscita dalla zona è stato intercettato un carico di tubi di rame e nickel. La loro contaminazione era superiore di 23 volte ai limiti. Nel maggio 2009, invece, si è letteralmente volatilizzato un carico di dieci tonnellate di metallo il cui livello di radioattività superava i 30.000 microrem previsti (superiore al lecito di ben mille volte!). Nella notte tra il 10 e l'11 settembre 2009 viene intercettato un altro carico di 25 tonnellate non decontaminato. Igor Chtirba, autista di uno dei camion fermati quella notte, commenta: "Per un carico intercettato, quanti altri riescono a passare? Cento? Duecento? In realtà ogni anno vi sono degli arresti, per mostrare che le forze dell'ordine fanno il loro dovere, poi il traffico riprende, più di prima. Quando la neve scompare, sono da cento a duecento le tonnellate che escono illegalmente dall'area ogni settimana".
Ogni tanto i carichi superano i 7.000 o 8.000 microrem e quando lo facciamo presente ai nostri superiori, ci dicono di passare ad altro, ma di continuare a lavorare".
le forze dell'ordine del paese da tempo sono venute a patti con i trafficanti. Del resto - come conferma il procuratore generale di Ivankov, Dimitri Logvinov - quattro miliziani sono stati accusati di essere direttamente coinvolti nel traffico di carichi di metallo provenienti dal reattore numero 4. Ai posti di controllo di Detiatki o di Starye Sokoloy, lontano dalle telecamere e da sguardi indiscreti, le lingue si sciolgono: "Certo che tutti partecipano al traffico di metallo!", racconta un miliziano: "I custodi dei cimiteri dei mezzi recuperano alcuni pezzi loro stessi oppure si mettono d'accordo con i trasportatori, e noi facciamo altrettanto ai posti di controllo. Siamo obbligati a vivere in questo inferno e ci vogliamo guadagnare".
Da aprile a novembre escono dal perimetro di Chernobyl, senza controlli, senza decontaminazione, da quattro a cinquemila tonnellate di metallo. Per andare dove? Esistono oltre tremila località legali di raccolta dei metalli ucraini, ma altre 12mila sono non ufficiali e illegali.
Più di ogni altra cosa ha assistito, sbigottito, al silenzio degli operai e delle autorità, dei poteri pubblici insomma, che in questo sfruttamento del metallo di Chernobyl hanno trovato una fonte considerevole di guadagno: "Ufficialmente dalla zona proibita non dovrebbe uscire niente. Se oggi la situazione è diversa è perché nessuna legge è più forte dell'attrazione che i soldi esercitano sul nostro paese".
Nel 2004, un gruppo di ecologisti e scienziati russi ha denunciato le importazioni pericolose di metallo proveniente dall'Ucraina: "I metalli contaminati sono in seguito mescolati con altri, per ridurne il tasso di radioattività. Arrivano poi in Russia, insieme a molti altri. I controlli alla frontiera restano in ogni caso irregolari e aleatori". Nessun traffico di metalli contaminati è stato ufficialmente scoperto in territorio ucraino. Ma non c'è bisogno di recarsi in Ucraina per constatare di persona la presenza di metallo radioattivo proveniente da Chernobyl. Una volta arrivato a Razokha o a Buriakovka, riparte alla volta della Cina, per poi ritornare nel cuore dell'Europa sotto la forma inoffensiva di un barattolo per le conserve o di una bicicletta per bambini.
Nessun commento:
Posta un commento