A un anno dal suo insediamento, in un’intervista Jakobsdottir afferma di non aver motivi per aderire all’Unione. “Facciamo meglio rispetto a qualsiasi altro paese del nord Europa”. “La Bce non è democratica”
Bruxelles – L’Islanda nell’Unione europea? “Nessuna ragione plausibile per aderire”. A dirlo è Katrin Jakobsdottir, prima ministra islandese dal novembre 2017 e leader del partito dei Verdi, in un’intervista rilasciata a Euobserver in occasione del suo anniversario alla guida del governo.
Nel 2009, travolta dalla crisi economica e finanziaria, con le banche in ginocchio, l’Islanda aveva presentato domanda di adesione all’Ue, prendendo però la decisione (unilaterale) di interrompere il processo nel 2015, quando oramai, anche grazie all’aiuto dell’Unione, era fuori dai pasticci. “Era un tema delicato e controverso allora, e lo è anche oggi”, sottolinea la verde, riportando i dati di un recente sondaggio da cui emerge che il 60 percento degli islandesi vuole rimanere fuori dall’Unione.
Le relazioni tra il Continente e la “Terra ghiacciata” (in inglese Iceland) sono al momento riconducibili allo Spazio Economico Europeo (See) e agli accordi di Schengen. Sembra riconoscerlo anche lei, la premier euroscettica, quando afferma con convinzione che “Il libero scambio con l’Ue è indubbiamente positivo per l’Islanda, portando benefici al Paese”. Benefici arrivati senza bisogno di prendere parte al progetto europeo. Stessa cosa vale, a suo avviso, per tutti gli altri indici: parità di genere, performance economiche, indicatori sociali “dove facciamo meglio rispetto a qualsiasi altro paese del nord Europa”.
Jakobsdottir però non solo sottolinea gli ottimi risultati dell’Islanda. Sembra quasi di intuire, dall’intervista, che è “meglio soli che mal accompagnati”. “Sono critica nei confronti delle politiche economiche dell’Ue”, dichiara riferendosi alla creazione dell’Eurozona “senza delle vere regole centralizzate su tassazione e politiche fiscali”. Non solo: “La Banca centrale europea è diventata davvero forte senza essere democratica, con strategie economiche lontane dai cittadini e che hanno avuto come risultato lo sviluppo di divisioni interne”.
Anche la Nato è nel mirino della donna (la seconda ad essere alla guida del paese). La più grande alleanza militare al mondo non rientra in effetti nelle grazie del suo partito, pur essendo appoggiata dal governo di coalizione di cui fanno parte, oltre quello di appartenenza della premier (dell’ala sinistra), il partito dell’Indipendenza (di centrodestra) e il partito Progressista (di centro).
“Noi Verdi siamo contrari alla permanenza dell’Islanda alla Nato”, dichiara, “pur sapendo che il resto del Governo l’appoggia. Siamo critici nei confronti di qualsiasi incremento della militarizzazione dell’alleanza”, aggiunge. L’Islanda, che fu salvata dai soldati Usa dall’invasione tedesca nella seconda guerra mondiale, fu tra i paesi fondatori dell’organizzazione nel 1949, ma adesso sono cambiate molte cose. “Il mio partito è in favore di soluzioni più pacifiche e non crediamo che la militarizzazione e il suo incremento possano portare a qualcosa di buono”, afferma la premier, che auspica invece “un rafforzamento delle relazioni diplomatiche e politiche con i paesi”.
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