21/02/2021 - “Oggi, l’unità non è un’opzione, l’unità è un dovere. Ma è un dovere guidato da ciò che son certo ci unisce tutti: l’amore per l’Italia”. Se dovessimo prendere solo la parte finale del discorso di insediamento di Mario Draghi, ci sarebbe quasi da spellarsi le mani dagli applausi. Peccato che il finale ad effetto non basti a spazzare tutta la polvere che il nuovo premier nemmeno si sogna di nascondere sotto al tappeto. E’ tutta lì, in mezzo alla stanza. A ricordarci che, nonostante i facili entusiasmi di qualcuno, il fresco inquilino di Palazzo Chigi non è qui a salvare l’Italia.
La retorica sui “salvataggi”, specie dopo la disastrosa esperienza del governo Monti, dovrebbe aver insegnato qualcosa. Invece no, se siamo ancora qui a farci prendere per il naso da chi vorrebbe cullarci tra le braccia di mamma Unione Europea. Il sogno fa presto – lo si vede ogni giorno – a trasformarsi in incubo. E il discorso di Draghi è lì a ricordarcelo.
A partire dai giudici dal sapore fideistico sulla moneta unica, con quella “irreversibilità della scelta dell’euro” scandita dal neo presidente con fare quasi ieratico. L’euro non si può mettere in discussione: cosa aspettarsi, d’altronde, da parti di chi la valuta comune l’ha salvata? Fatto stilizzato sì, ma a che prezzo? Quello dell’impossibilità, da parte degli Stati nazionali aderenti a quel buco nero chiamato eurozona, di poter anche solo pensare di agire in termini di politica economica. Tanto più nei momenti in cui c’è stato (e c’è) davvero bisogno, come quelli dai quali stiamo uscendo. Ammesso che si riesca a farlo, se non al costo di una desertificazione che lascerà dietro di sé solo macerie.
La “distruzione creatrice” (che distrugge e basta) nel discorso di Draghi
Il presidente del Consiglio sembra esserne perfettamente conscio quando dice che “sarebbe un errore proteggere indifferentemente tutte le attività economiche. Alcune dovranno cambiare, anche radicalmente. E la scelta di quali attività proteggere e quali accompagnare nel cambiamento è il difficile compito che la politica economica dovrà affrontare nei prossimi mesi”. La distruzione creatrice al suo massimo: prima costringi le attività a chiudere, poi gli dai meno che un’elemosina e infine le sacrifichi. In purezza, come fosse la cosa più naturale di questo mondo. Secondo il discorso di Draghi, insomma, per un ristoratore che a fronte di mesi di chiusura forzata (non per sua scelta, incapacità o per la natura stessa del settore) ha ricevuto una mancetta insufficiente a coprire anche solo i costi fissi, il “cambiamento” sarebbe? Abbassare la saracinesca e riciclarsi a fare il rider? Nessuna novità: le sue linee d’ispirazione erano già note.
Poteva finire qui, sarebbe stato sufficiente. Draghi, nel suo discorso, va ancora più in profondità nel tracciare la guida programmatica dell’esecutivo che si appresta a condurre. Sempre più verso Bruxelles e i suoi desiderata, ca va sans dire. Ecco allora che ritorna la noiosa filastrocca sulle sovranità che, una volta cedute (con annesso tocco lirico del “non c’è sovranità nella solitudine”), vanno ad essere riacquisite sotto forma di “sovranità condivisa”. Peccato che, con in ultimo le magrissime figure rimediate dalla Commissione Ue nei confronti dei colossi farmaceutici, la somma non faccia mai il totale. Al contrario: più sovranità si cede – ormai è sotto gli occhi di tutti – più questa ne risulta depotenziata.
Il Recovery Plan sarà un inchino a Bruxelles
Da qui la necessità di dover mettere mano al Recovery Plan nazionale, uno dei motivi all’origine della caduta del Conte bis. Come? Aderendo pienamente ai diktat comunitari: “Le Missioni del Programma potranno essere rimodulate e riaccorpate, ma resteranno quelle enunciate nei precedenti documenti del Governo uscente, ovvero l’innovazione, la digitalizzazione, la competitività e la cultura; la transizione ecologica; le infrastrutture per la mobilità sostenibile; la formazione e la ricerca; l’equità sociale, di genere, generazionale e territoriale; la salute e la relativa filiera produttiva”, illustra Draghi nel prosieguo del discorso.
Se qualcuno pensa che il grosso delle spese – parliamo del fatto che buona parte delle risorse (sempre a nostro carico) del Recovery Fund andranno al capitolo rivoluzione verde e transizione ecologica – non abbiano nulla a che vedere con le priorità dell’Italia, dal sostegno dei redditi e della domanda interna, passando per la deindustrializzazione galoppante e conseguente disoccupazione in doppia cifra, si metta l’animo in pace: è esattamente così. Perché così si vuole che sia.
Filippo Burla
https://www.ilprimatonazionale.it/economia/discorso-draghi-dichiarazione-guerra-italia-182977/
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