"Semel in anno licet insanire": una volta all'anno è lecito impazzire, questo antico detto rappresenta lo spirito del Carnevale,
il rovesciamento dell'ordine per un breve periodo, che risale alle tradizioni dei saturnalia latini e dei culti dionisiaci con cui si salutava il passaggio dall'inverno alla primavera. Il Carnevale è una festa che ha inizio il 17 gennaio e termina il martedì che precede il mercoledì delle Ceneri, inizio della Quaresima. La parola stessa, secondo una delle etimologie più diffuse, deriva dal latino carnis laxatio, evolutosi nell'italiano antico "Carnasciale", con il significato di "abbandono della carne". Caratteristiche delle rappresentazioni simboliche erano le maschere, che sono rimaste nella storia del Carnevale. La pratica del travestimento risale al Paleolitico, quando, in occasione dei riti magici, gli stregoni si adornavano di piume e sonagli e si coprivano il volto con maschere dipinte dall'aspetto terrificante per scacciare gli spiriti maligni. In età romana l'uso delle maschere era legato ai Baccanali, le feste in onore di Bacco, che animavano le strade, tra fiumi di vino e danze, mentre il passaggio dall'inverno alla primavera veniva celebrato di notte con i festeggiamenti di Cerere e Proserpina, che univano giovani e vecchi, nobili e plebei, nella commemorazione della vicenda della fanciulla rapita da Plutone, che la madre, dea del grano, cerca invano finché, spinto a pietà, Giove concede di farla ritornare sulla terra per sei mesi all'anno. Dalla leggenda del ratto di Proserpina deriva il ciclo delle stagioni, festeggiato con processioni per le vie alla luce di fiaccole e torce. Al passaggio delle stagioni erano legati anche i Saturnalia, le feste sacre a Saturno, che si celebravano in marzo e dicembre per sette giorni, durante i quali gli schiavi diventavano padroni e viceversa, mentre un "Re della Festa", eletto dal popolo, si occupava dei giochi nelle piazze e degli spettacoli dei gladiatori. Il tema del rovesciamento è rimasto nello spirito del Carnevale, periodo in cui apparentemente tutto era lecito, che consentiva, in realtà, di circoscrivere in un tempo prestabilito e limitato la libertà di abbandonarsi agli eccessi e di dare agli umili l'illusione di essere simili ai potenti, un modo per alleggerire le tensioni e mantenere il consenso. Quasi tutti i riti popolari ebbero vita da cerimonie religiose legate alla coltivazione dei campi e alla vita del contadino. La celebrazione dei riti, nelle ricorrenze dei cicli stagionali, avevano lo scopo della rigenerazione della terra affinché desse migliori frutti nel nuovo ciclo produttivo. La partecipazione al rito, di carattere religioso-liturgico, era vivamente sentita ed ognuno, che in qualsiasi modo vi prendesse parte, la riteneva necessaria per la propria sussistenza scongiurando così ogni tipo di carestia connessa a fenomeni meteorologici, a pestilenze o a guerre. I riti ciclici stagionali nei loro auspici richiedevano una particolare interpretazione di carattere parodistico e mimico capaci di distruggere il male che gli uomini, personalmente o collettivamente avevano accumulato nel ciclo precedente, in modo che la natura offesa dalle malefatte si fosse placata e non avesse abbandonati gli uomini. Sicchè il rito avrebbe avuto, oltre che un movente apotropaico e produttivo, anche una funzione profilattica e di crescita dei beni. Ma non bastava la sola esecuzione del rito: la distruzione del male aveva bisogno di un "capro espiatorio", che poteva essere una persona, un animale o un oggetto qualsiasi, su cui fare ricadere tutte le colpe che sarebbero state cancellate soltanto dall'olocausto del "capro" prescelto. Il sacrificio avrebbe purgato la società di ogni male, ma esso, però, non doveva essere accompagnato da pianto o da strazianti dolori, ma di infinito gaudio perché quella morte era la salvezza futura della collettività e di ogni singolo uomo. E' per questo che la morte del Carnevale "non ha carattere tragico": sia la morte e sia il dramma che da essa nasce sono uniti nello stesso rito, ma con forma la più tragicomica possibile.Il popolo cerca la sicurezza del domani, l'ha ottenuta da chi per esso si è sacrificato e giunge sino a deriderne la tragica fine, perciò si sfrena, ride, urla, canta, balla, ed irride tutto e tutti. Le stesse fiamme che si sprigionano dal fantoccio che brucia ha carattere profilattico, di prevenzione dei malanni, attraverso l'opera distruttrice del fuoco. Lo stesso piacere dell'amore che si accompagna al rito ha il senso magico della fecondità. I salti, le danze, i balli, le musiche preparano lo spirito alle maggiori gioie, sapendo che calcando la terra si richiama questa a fruttificare con abbondanza ed allora più in alto si salta, maggiore è la richiesta alla terra di essere generosa. Le burle, gli scherzi e le satire hanno lo scopo di giungere alla maggiore liberalità, sino alla follia, allo scioglimento dei freni inibitori che avevano mantenuto l'uomo sino allora nei binari della correttezza e della morale. Nelle feste del carnevale ciascuno si personalizza in figure di potenti, ciascuno assume un atteggiamento per quello che avrebbe voluto essere se non fosse stato un fallito della vita. L'abito che indossa, l'atteggiamento che assume e le sue gestualità lo trasportano ad essere quel grand'uomo che le sue aspirazioni voleva fossero: un politico, un medico, un ingegnere, un professionista, un prete, un ufficiale, un pirata, un vescovo o un sacrestano. Certamente non è facile indagare sulle origini di una festa come il carnevale, le cui tracce storiche nessuno ha potuto o voluto realmente conservare. Non è possibile nemmeno fare luce sui diversi aspetti che ne caratterizzano i festeggiamenti, in quanto, nel corso dei secoli e in realtà geografiche diverse, il carnevale si è arricchito di sfumature sempre nuove.
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