Rino Gaetano fu assassinato perché con le sue canzoni osava minacciare i poteri occulti

Era amico della figlia del medico personale di Licio Gelli: era lei la fonte di tante rivelazioni che poi sarebbero finite nelle sue canzoni, in un gioco tanto
pericoloso da costargli la vita? Sono gli interrogativi che l’avvocato salernitano Bruno Mautone solleva, nel suo secondo libro sulla strana morte di Rino Gaetano, fino a chiedere alla magistratura romana di riaprire le indagini sulla scomparsa del cantante, morto nella capitale il 2 giugno 1981, a soli trent’anni di età, dopo esser stato investito da un camion. Impressionante l’elenco delle “stranezze” che Mautone riassume nel pamphlet, “Chi ha ucciso Rino Gaetano?”, edito da Revoluzione nel 2016. Davvero moltissimi i riferimenti, nelle canzoni di Gaetano, a episodi imbarazzanti della politica italiana. Desta scalpore, inoltre, l’infelice sorte di un grande amico del cantautore crotonese, altra possibile fonte di informazioni riservate: una morte-fotocopia (incidente stradale) altrettanto prematura. Il giovane, che lavorava presso consolati stranieri, fu sepolto al Verano accanto all’artista, ma poi disseppellito e trasferito in un altro cimitero. Curiosità: l’autore dello spostamento dei resti mortali, scrive il blog “Scomparsi”, ha una identità «che coincide con un personaggio storico dello spionaggio italiano, collegato addirittura al “Noto Servizio”».



Si tratta di apparato riservato dello Stato «che compiva atti di intelligence in modo autonomo rispetto ai servizi istituzionali», prima il Sid e poi il Sismi e il Sisde, «spesso sfociando in atti illegali e gravissimi». Specialità inquietante del “Noto Servizio” «risultò essere, con atti sequestrati e acquisiti dalla magistratura, l’uccisione di persone ritenute “scomode” con incidenti stradali». Nel libro, Mautone ricostruisce le vistose anomalie dell’incidente che causò la morte di Gaetano, travolto da un camion e poi morto dissanguato, nella notte, a bordo di un’ambulanza militare, dopo che il ricovero fu rifiutato dal pronto soccorso di diversi ospedali. Una vicenda su cui inutilmente chiesero di fare luce, subito dopo, due senatori del Msi, Araldo di Crollalanza e Tommaso Mitrotti. Dal governo Forlani, un muro di silenzi e omissioni: il liberale Renato Altissimo, autore della risposta, non precisò l’ora dell’incidente sulla Nomentana, non disse chi allertò i soccorsi e come, né perché intervenne un’unica ambulanza nonostante fosse ferito anche il camionista coinvolto nell’incidente, esanime sull’asfalto, accanto all’artista intrappolato nella sua Volvo. Nella risposta di Altissimo, inoltre, «non si precisa perché l’unica ambulanza intervenuta fosse un mezzo poco attrezzato dei vigili del fuoco e perché Rino, una volta prelevato con una gravissima ferita cranica, venne condotto fatalmente in un ospedale privo del reparto di traumatologia cranica».

Non si fanno neppure i nomi dei medici che avrebbero curato o cercato di curare il ferito in quelle condizioni, né si fa cenno ai presunti motivi che spinsero altri ospedali, pur allertati, a non approntare nessuna forma di soccorso. Non si dice nemmeno chi convocò il medico traumatologo, fatto accorrere al Policlinico, né il nome dello specialista e degli altri sanitari coinvolti. Tanta evidente vaghezza finisce per moltiplicare i sospetti: «Sin dai primi momenti, la morte prematura dell’artista calabrese suscitò interrogativi e dubbi». Oltre alla storia dell’amico impegnato in uffici diplomatici, che di lì a poco avrebbe seguito Rino Gaetano nel cimitero maggiore della capitale (per poi esservi rimosso), Mautone rimarca una clamorosa dichiarazione rilasciata da Rino dopo i trionfi sanremesi al giornalista Manuel Insolera: il festival della canzone viene paragonato in modo esplicito ad «un ordine massonico». In un articolo della “Stampa” di Torino, pubblicato il 3 giugno 1981 all’indomani della morte del cantante, si rileva come i testi di diverse canzoni facessero riferimento alle scabrose cronache della P2. A Mautone non sfugge che Rino Gatano è statoesplicitamente citato da Stefano Bisi, gran maestro del Grande Oriente d’Italia, nel suo discorso ufficiale di insediamento, il 6 aprile 2014, utilizzando un verso del cantante per sottolineare la necessità di concordia: «Vi ricordo che cosa cantava Rino Gaetano: “Chi nuota da solo affoga per tre”».

«Una notizia di grande interesse – aggiunge il blog “Scomparsi” – è rappresentata da una stretta frequentazione di Rino: nel cerchio delle sue più care amiche si annovera la giornalista Elisabetta Ponti, figlia di un medico, Lionello Ponti, che risultò inserito nella lista della P2 ed era il sanitario di fiducia di Licio Gelli». Il libro di Mautone, poi, mette a fuoco i costanti, fittissimi riferimenti (cifrati) con cui Rino Gaetano alludeva, nelle sue canzoni, ai principali “eroi” dei tanti scandali italiani: la Berta di “Berta filava” non sarebbe una ragazza qualunque, ma l’America, che “filava con Mario, filava con Gino”, ovvero i ministri Mario Tanassi e Luigi Gui, accusati per lo scandalo Lockeed, legato all’acquisto di velivoli militari Hercules C-130. Lo stesso Gaetano, in un concerto in Puglia, dichiarò che il brano era «dedicato al mondo dei grossi politici ed altri enigmatici mondi». Ci sono passaggi apparentemente inspiegabili come “il rapido Taranto-Ancona”, dalla canzone “Mio fratello è figlio unico”: «Da deposizioni giudiziarie – ha spiegato lo stesso Mautone – è poi risultato che proprio quel treno era stato utilizzato, da servizi deviati, per il trasporto di esplosivi destinati alle stragi nelle piazze».

Ancora: il Cazzaniga citato nella canzone “Nun te reggae più” dopo la sequenza “Dc-Dc-Dc-Dc” sarebbe, secondo Mutone, l’oscuro democristiano Vincenzo Cazzaniga, già manager della Esso e poi vicepresidente della holding super-massonica Bastogi, posta sotto il controllo di Giulio Andreotti ed Eugenio Cefis, e citata espressamente da Gaetano in un’intervista. Cazzaniga, sostiene Mautone, risultò essere un collaboratore dei servizi americani e, per conto degli Usa, finanziava segretamente la Dc in chiave anti-sinistra. Altri riferimenti «allarmati», disseminati in vari brani musicali, citano una “rosa” e un “pugnale Usa”, richiamando l’eversione nera (la “Rosa dei Venti”) e Gladio. Nella canzone “La zappa, il tridente, il rastrello” compare direttamente “una mansarda in via Condotti”, che – si scoprirà poi – ospitava il vertice della P2. Decisamente inquietante, poi, il brano “La ballata di Renzo”, inciso nel 1970 ma uscito soltanto nel 2009, postumo. Sembra l’anticipazione, profetica al millimetro, della fine che attendeva l’artista – una sorta di contrappasso dantesco. “Quando Renzo morì, io ero al bar”, cantava Rino. L’incidente, poi l’odissea in ambulanza: “S’andò al san Camillo, e lì non lo vollero per l’orario”. Altro ospedale: “S’andò al san Giovanni, e lì non lo accettarono per lo sciopero”. E quindi l’epilogo, con persino il sinistro riferimento cimiteriale: “Con l’alba, le prime luci, s’andò al Policlinico, ma lo respinsero perché mancava il vice capo. In alto c’era il sole, si disse che Renzo era morto. Ma neanche al cimitero c’era posto”.

(Il libro: Bruno Mautone, “Chi ha ucciso Rino Gaetano?”, Revoluzione, 246 pagine, euro 14,90).

via Libreidee

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